sabato 3 aprile 2010

il troll e la molla


Un vecchio col ciuffo bianco.
Ricordavo un giovane col ciuffo castano sempre davanti agli occhi, che picchiava come un forsennato lamine ferrose e mattoni bucati, che trapanava molle appese.
Che sia lui? Sembra il barbone della stazione. E’ proprio lui. Il fumo finto invade quel piccolo posto nero, lui lascia la birra e sale scalzo sul palco. Ha il viso butterato, la pelle sembra cotta; gli occhi sono due cristalli di ghiaccio. Prende una mazzetta con la testa di gomma, stringe con la destra l’enorme molla che penzola davanti a lui e “WOOOUUU”, il primo colpo. Il suono implode come se l’onda sonora invece di propagarsi venisse risucchiata per poi essere rigettata come uscisse dalle viscere della terra. Un suono primordiale e profondo. Lui è a un metro da me, lo guardo in faccia, la bellezza della sua espressione mi cattura. La sua è un’estasi pungente e limpida. Una mano ruvida stringe la mazza e le dita dell’altra tangono la molla, come fosse la tastiera di un piano. E si sente. I piedi si muovono come quelli di una scimmia: arriccia le lunghe dita, poi le posa delicatamente sul misero palco. Poi passa alla lamina di metallo, prima la sfiora col trapano senza mai traforarla, poi vi posa i mattoni bucati che infrange con un tubo di ferro. Le schegge volano e invadono la scena. Rotola le nude braccia tra i cocci, sollevandoli, sbattendoli, facendoli suonare. Di nuovo sulla molla, camminando e stando sui cocci, niente tagli, niente sangue, appoggia prima le estremità delle dita, le spinge in avanti, crea uno spazio pulito e poi posa con estrema grazia il resto della pianta del piede, come se gli fosse naturale muoversi così.
Alla fine si avvicina, sorride alla curiosità che ci ha portato a spiare i suoi segreti e ci regala quel cavo che dalla molla veicolava il suono all’amplificatore….
Il poeta dell’officina, questo doveva essere secoli fa….
(fm enheit, bologna, 28 febbraio 2010)

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